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Aldo Busi
Vacche amiche
(un'autobiografia non autorizzata)
Marsilio
Chi altri avrebbe osato scrivere la sua "autobiografia non autorizzata", offrendola spericolatamente in pasto al mondo in una lingua affabulatoria, epigrammatica, sincopata, di un'eleganza senza pari e di un'oscenità scatenata e al contempo scanzonata? Aldo Busi compie qui un viaggio che riconduce al punto di partenza, secondo un percorso circolare nel quale nulla accade perché tutto è già accaduto e non resta che prendere atto della verità così come la scrittura la riconosce, la indaga e la costringe a uscire allo scoperto, attraverso lo smascheramento spietato dell'imperfetta menzogna coltivata per tutta una vita da personaggi della piccola, media e grande borghesia, ordinari incantatori che vorrebbero sottrarsi e restare misteriosi ma finiscono per venire centrifugati in questo potente caleidoscopio delle umane vanità, cui non sfugge nemmeno chi ne scrive per chiamarsene fuori. Ancora una volta lo scrittore ci coglie di sorpresa avventurandosi in zone fra le meno seriamente esplorate dei rapporti tra uomini e donne, come quella dell'omosessuale innamorato di alcune elette e dannate a non averlo e a non farsi avere, pena il perderlo e con lui perdere l'occasione politica e rivoluzionaria per eccellenza che manca alle donne, l'amore ad armi pari con un uomo: un'amicizia di disinteressata e leale passione. Testo drammatico senza averne né l'aria né gli artifici, a tratti insospettabilmente romantico fino alle lacrime, più spesso esilarante fino alla risata irrefrenabile, Vacche amiche risulta non meno coinvolgente di Seminario sulla gioventù (1984) e ci sfida a una brutale e commovente discesa agli inferi della nostra identità umana e civile. Dopo lo splendido affresco narrativo di El especialista de Barcelona (2012), Busi scrive un libro sull'amore carnale e sull'amicizia intellettuale: un nuovo romanzo, ma soprattutto un romanzo nuovo che all'occorrenza si fa saggio, per quanto satirico di ogni pretesa saggistica e pervaso da folle saggezza. Una sfida di stile e di ritmo perfettamente vinta, che indica in quale direzione la letteratura dovrà spingersi da ora in avanti.
Aldo Busi nasce a Montichiari, in provincia di Brescia, il 25 febbraio 1948. Terzo di quattro figli, “figlio unico, a modo suo, di genitori semianalfabeti”, fin da bambino entra in conflitto con la famiglia e con la mentalità chiusa e retriva del paese. I genitori, ostili alla sua passione per la lettura, gli bruciano i pochi libri che riesce a procurarsi. A sette anni ha già deciso di diventare scrittore; a dodici conosce a memoria e recita in pubblico Una stagione all’inferno di Rimbaud.
Dopo la licenza media, a quattordici anni se ne va di casa e si mantiene lavorando in alberghi e ristoranti nella zona tra Milano e il lago di Garda. Comincia intanto a scrivere Il Monoclino, titolo originario del romanzo che diventerà, ma solo nel 1984, Seminario sulla gioventù. Nel 1968 ottiene l’esonero dal servizio militare per dichiarata omosessualità (“politicamente dichiarata: mica mi sono presentato coi tacchi alti dicendo di chiamarmi Miriam”, ha affermato in un’intervista).
Lettore instancabile e onnivoro, per completare la sua formazione va a lavorare all’estero: Lille e Parigi (1969-1970), Londra (1970-71, “lavoro nero da sguattero e primo au pair boy nella storia del colonialismo interno britannico”), Monaco di Baviera (1971-72, “spazzino alla Siemens e portiere di notte”), Barcellona (1973), di nuovo Parigi e Berlino (1973-74), New York (1975). Nel 1976, studiando da privatista, consegue a Firenze un diploma di scuola superiore. Si iscrive all’Università di Verona dove si laurea in lingue nel 1981 con una tesi sul poeta americano John Ashbery, del quale nello stesso anno traduce un’importante raccolta. Si guadagna da vivere facendo il supplente nelle scuole superiori e l’interprete per un’azienda che vende collant in giro per l’Europa, esperienza quest’ultima cui si ispira il romanzo Vita standard di un venditore provvisorio di collant.
Tra il 1981 e il 1984 appaiono alcune sue traduzioni dall’inglese e dal tedesco: Mio padre e io di Joe Ackerley, I dolori del giovane Werther di J. Wolfgang Goethe, L’occasione di uccidere di Heimito von Doderer, Sonnambulismo di Meg Wolitzer. Anche dopo la consacrazione a scrittore Busi continuerà a mantenere viva l’attività di traduttore letterario. Tra i suoi esiti più alti, la versione in italiano moderno del Decamerone di Boccaccio, apparsa in due volumi tra il 1990 e il 1991, la traduzione di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll (1988) e quella per il teatro (1994) del dramma Intrigo e amore di Friedrich Schiller.
Seminario sulla gioventù, il romanzo d’esordio, esce nel 1984. Accolto tiepidamente dalla critica, riceve il premio Mondello opera prima e diventa nel giro di breve tempo un libro-feticcio venerato da generazioni di lettori, citato e plagiato dagli scrittori più giovani. Il clamore dell’esordio è bissato l’anno successivo con la pubblicazione di Vita standard di un venditore provvisorio di collant, che Busi aveva iniziato a scrivere nel 1979. L’ondata di notorietà che ne consegue, enorme, non lo coglie impreparato. Di fronte all’attenzione crescente che i mass media gli dedicano, Busi dà prova di una spregiudicatezza e di una sagacia nel negarsi e nel concedersi mai riscontrate in alcun scrittore italiano.
Nel 1989 il libro di prose narrative Sodomie in corpo 11 (1988) viene citato in giudizio per oscenità insieme al suo autore. Il processo si tiene a Trento ed è mandato in onda dalla televisione di Stato. Busi si presenta in tribunale in smoking e tenendo in mano un narciso giallo. Insieme con l’assoluzione, prevista, arriva l’investitura tutt’altro che scontata a personaggio televisivo dell’anno.
Ormai Busi si è svincolato dalla qualifica restrittiva di caso editoriale e si accinge a diventare un fenomeno massmediatico. Il suo protagonismo ingovernabile, controverso, scatena polemiche e dibattiti a non finire. Nel complesso la cultura italiana sembra impreparata ad accogliere, ma anche a respingere, l’eccezionalità di un romanziere colto, sofisticato, cosmopolita, immune dai cliché e dalle frivolezze dell’intellettuale engagé, che tuttavia ha la sfrontatezza di inscenare uno spogliarello al circolo della stampa di Milano nel corso della presentazione del suo libro Sentire le donne (1991). Gli ambienti letterari e accademici seguono da distante l’evolversi della carriera di Busi, dapprima messi in sospetto dalle sue esibizioni dissacratorie e infine urtati dal tono categorico con cui lo scrittore rivendica i propri meriti. Più pragmatiche e opportuniste, stampa e televisione fiutano in Busi la personalità carismatica e tentano di appropriarsene; ma si trovano a dover fronteggiare un esperto in comunicazione della propria immagine che ha idee molto precise in merito al suo sfruttamento mediatico e che non si presta a essere ridicolizzato, poiché è Busi per primo a irridere la propria maschera televisiva.
Negli anni Novanta Busi si conferma irriducibile al ruolo convenzionale e convenuto di scrittore. La sua partecipazione alla vita civile e culturale italiana si caratterizza per un’energia e una fisionomia inconfondibili. Innumerevoli sono le sedi in cui Busi viene chiamato o si chiama a intervenire. In ciascuna di esse riversa, per iscritto o di persona, una intelligenza critica e una intransigenza morale spesso sgradite, che lo portano in breve tempo a inimicarsi istituzioni pubbliche e private, secolari ed ecclesiastiche. Insofferente alle facili solidarietà, si rende inviso alle forze politiche e a quella parte dell’opinione pubblica che si identifica con il suo anticonformismo. Egli esercita una presenza culturale che non ha probabilmente uguali in Italia attraverso un paradossale rapporto con i contesti più diversi che è insieme di immedesimazione e di assoluta autonomia di pensiero e di linguaggio. È ospite fisso di trasmissioni televisive. Incide un disco (Pazza, 1990) interpretando nove canzoni da lui scritte. Dirige una collana di classici della letteratura, “I classici classici”, per l’editore Frassinelli. Recita alla radio la sua traduzione di Alice nel paese delle meraviglie facendo le voci di tutti i personaggi. Introduce i cataloghi di pittori e artisti celebri o destinati a diventarlo grazie al suo patronage. Scopre e promuove i testi di scrittori di talento (Carmen Covito, Alessandro Barbero).
Tanto fervore d’attività si riflette nella bibliografia busiana, dove accanto ai romanzi trovano posto: un’opera teatrale illustrata a fumetti (la commedia Pâté d’homme, 1989), una sceneggiatura cinematografica (La vergine Alatiel, 1996), una fiaba (Madre Asdrubala, 1995), testi di canzoni (L’amore trasparente, 1997), breviari laici a istruzione ed edificazione di categorie sociali aspiranti a migliorarsi (dal Manuale del perfetto Gentilomo, 1992, al Manuale del perfetto Single, 2002), libri di viaggio (da Altri abusi, 1989, a E io, che ho le rose fiorite anche d’inverno?, 2004).
Con l’inizio del Terzo Millennio la notorietà di Busi si consolida e con essa il suo isolamento ideologico. Le numerose battaglie civili e politiche, combattute in solitudine e costellate di appendici giudiziarie, hanno creato l’equivalente di un cordone sanitario intorno allo scrittore e alla sua opera. Ancora oggi gli viene rimproverato di essere smodatamente consapevole del proprio valore.
Da dieci anni Busi ha interrotto ogni rapporto con la stampa nazionale, che non gli perdona l’irruenza delle sue prese di posizione contro l’intromissione della Chiesa nella vita politica italiana e contro il clericalismo delle Sinistre.
Attualmente Busi continua a mantenere la residenza a Montichiari.
(dal sito www.altriabusi.com)
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