Aurora Tamigio scrive un romanzo coinvolgente e appassionante. Siamo in Sicilia nei primi anni del ‘900. Ci racconta una storia di donne, forti e coraggiose; quelle donne che hanno contribuito a fare l’Italia ogni giorno con i loro semplici gesti, riassettando casa, cucinando, tessendo piccoli capolavori, lavorando i campi, assecondando silenziose gli uomini e i loro diritti di capofamiglia. Madri, mogli, figlie o sorelle di uomini intransigenti e tirannici ma anche di uomini dolci e affettuosi, teneri e protettivi, onesti. Una bellissima storia di come eravamo. Lavinia Manfrotto
“Ti ho portato del lavoro. Sono così lente le amiche tue, che faccio prima a guidare da san Benedetto a qui per portarle a te, le cose, e avere i rammendi in tempo per le consegne.” Non era vero, non aveva fretta quella volta la Cuttancina. A Selma aveva portato solo cose vecchie, roba dimenticata nella bottega, che nessuno si era venuto a prendere. Ma aveva pensato che, forse, tenersi impegnata avrebbe fatto Selma contenta e che se aveva qualche angustia, come ogni donna ce l’aveva, da quello che ne sapeva lei, il lavoro era da sempre un buon rimedio.
All’origine c’è Rosa. Nata nella Sicilia di inizio Novecento, cresciuta in un paesino arroccato sulle montagne, rivela sin da bambina di essere fatta della materia del suo nome, ossia di fiori che rispuntano sempre, di frutti buoni contro i malanni, di legno resistente e spinoso. Al padre e ai fratelli, che possono tutto, non si piega mai sino in fondo. Finché nel 1925 incontra Sebastiano Quaranta, che “non aveva padre, madre o sorelle, perciò Rosa aveva trovato l’unico uomo al mondo che non sapeva come suonarle”. È un amore a prima vista, dove la vista però non inganna. Rosa scappa con lui, si sposano e insieme aprono un’osteria, che diventa un punto di riferimento per la gente dei quattro paesi tutt’intorno.
A breve distanza nascono il bel Fernando, Donato, che andrà in seminario, e infine Selma, dalle mani delicate come i ricami di cui sarà maestra. Semplice e mite, Selma si fa incantare da Santi Maraviglia, detto Santidivetro per la pelle diafana, sposandolo contro il parere materno. È quando lui diventa legalmente il capofamiglia che cominciano i guai, e un’eredità che era stata coltivata con cura viene sottratta.
A farne le spese saranno le figlie di Selma e Santi: Patrizia, delle tre sorelle la più battagliera, Lavinia, attraente come Virna Lisi, e Marinella, la preferita dal padre, che si fa ragazza negli anni ottanta e sogna di studiare all’estero. Su tutte loro veglia lo spirito di Sebastiano Quaranta, che torna a visitarle nei momenti più duri.
Con la freschezza dei 35 anni, Aurora Tamigio scrive al suo esordio un romanzo familiare dal respiro ampio e dal passo veloce, che trascina il lettore come un fiume: epica popolare, saggezza antica e leggerezza immaginifica, riso e pianto, e poi personaggi impossibili da dimenticare. Lo scrive come se fosse semplice, e non lo è. Semplice è leggerlo, non ci si ferma più fino all’ultima parola.
Aurora Tamigio è nata a Palermo nel 1988 e cresciuta a Milano. Successivamente alla laurea in storia dell’arte contemporanea, ha studiato sceneggiatura cinematografica. Dopo aver lavorato come autrice freelance per il cinema, oggi è copywriter e scrive per aziende del mondo della tecnologia e del design. È caporedattrice del magazine di informazione cinematografica Silenzioinsala.com e scrive cortometraggi (L’incontro, Homefish, Signorina Forsepotevo). Alcuni dei suoi racconti sono pubblicati su “La Balena Bianca”, “Crack Rivista” e “Il rifugio dell’Ircocervo”. Il cognome delle donne è il suo primo romanzo.
“Ti ho portato del lavoro. Sono così lente le amiche tue, che faccio prima a guidare da san Benedetto a qui per portarle a te, le cose, e avere i rammendi in tempo per le consegne.” Non era vero, non aveva fretta quella volta la Cuttancina. A Selma aveva portato solo cose vecchie, roba dimenticata nella bottega, che nessuno si era venuto a prendere. Ma aveva pensato che, forse, tenersi impegnata avrebbe fatto Selma contenta e che se aveva qualche angustia, come ogni donna ce l’aveva, da quello che ne sapeva lei, il lavoro era da sempre un buon rimedio.
All’origine c’è Rosa. Nata nella Sicilia di inizio Novecento, cresciuta in un paesino arroccato sulle montagne, rivela sin da bambina di essere fatta della materia del suo nome, ossia di fiori che rispuntano sempre, di frutti buoni contro i malanni, di legno resistente e spinoso. Al padre e ai fratelli, che possono tutto, non si piega mai sino in fondo. Finché nel 1925 incontra Sebastiano Quaranta, che “non aveva padre, madre o sorelle, perciò Rosa aveva trovato l’unico uomo al mondo che non sapeva come suonarle”. È un amore a prima vista, dove la vista però non inganna. Rosa scappa con lui, si sposano e insieme aprono un’osteria, che diventa un punto di riferimento per la gente dei quattro paesi tutt’intorno.
A breve distanza nascono il bel Fernando, Donato, che andrà in seminario, e infine Selma, dalle mani delicate come i ricami di cui sarà maestra. Semplice e mite, Selma si fa incantare da Santi Maraviglia, detto Santidivetro per la pelle diafana, sposandolo contro il parere materno. È quando lui diventa legalmente il capofamiglia che cominciano i guai, e un’eredità che era stata coltivata con cura viene sottratta.
A farne le spese saranno le figlie di Selma e Santi: Patrizia, delle tre sorelle la più battagliera, Lavinia, attraente come Virna Lisi, e Marinella, la preferita dal padre, che si fa ragazza negli anni ottanta e sogna di studiare all’estero. Su tutte loro veglia lo spirito di Sebastiano Quaranta, che torna a visitarle nei momenti più duri.
Con la freschezza dei 35 anni, Aurora Tamigio scrive al suo esordio un romanzo familiare dal respiro ampio e dal passo veloce, che trascina il lettore come un fiume: epica popolare, saggezza antica e leggerezza immaginifica, riso e pianto, e poi personaggi impossibili da dimenticare. Lo scrive come se fosse semplice, e non lo è. Semplice è leggerlo, non ci si ferma più fino all’ultima parola.
Aurora Tamigio è nata a Palermo nel 1988 e cresciuta a Milano. Successivamente alla laurea in storia dell’arte contemporanea, ha studiato sceneggiatura cinematografica. Dopo aver lavorato come autrice freelance per il cinema, oggi è copywriter e scrive per aziende del mondo della tecnologia e del design. È caporedattrice del magazine di informazione cinematografica Silenzioinsala.com e scrive cortometraggi (L’incontro, Homefish, Signorina Forsepotevo). Alcuni dei suoi racconti sono pubblicati su “La Balena Bianca”, “Crack Rivista” e “Il rifugio dell’Ircocervo”. Il cognome delle donne è il suo primo romanzo.