Costanza non è vecchia ma presto lo sarà. Dopo un’appagante carriera universitaria tiene per diletto una rubrica sulla vecchiaia: “Insegno malinconia positiva, se proprio devo dare un titolo”. Perché “soffrire da vecchi è la regola. È la regola essere malati, dipendere dagli altri, dai sani, dai giovani, non poter fare a meno di chiedere, non poter dare in cambio altro che una gratitudine disperata, senza valore. Soltanto i vecchi speciali ce la fanno. E i vecchi speciali sono quelli che stanno bene”. Lei, che sta bene, ha deciso di separarsi dal compagno di una vita, Dom, il padre di suo figlio Matteo, per non rischiare di specchiare in lui la propria decadenza, e viceversa. Ha le idee chiare sul presente e sul futuro, o almeno così sembra. Quando il padre ex partigiano le lascia in eredità un austero ex convento a Civita di Bagnoregio e un gruzzolo messo da parte giocando in Borsa, Costanza si lascia prendere da un progetto improvviso e vagamente sconsiderato: radunare in quella casa bella e nuda, incastonata in un luogo simbolico che si sfalda lentamente, i compagni con cui giovanissima ha condiviso a Milano il sesso libero e l’impegno politico, per ricreare una comune, una famiglia larga con cui spartire la vecchiaia. È un tentativo di ritorno all’età delle illusioni, al mito della sinistra, “la leggenda d’aver ragione che ha nutrito la nostra seconda infanzia. Quando ci facevamo carico dei mali del mondo come se ne conoscessimo la cura, con l’altruismo distratto di chi può sperperare il suo tempo.” E ora che non c’è più tempo da sperperare, Costanza gira l’Italia in lungo e in largo per riannodare i suoi fili, con esiti spesso dolorosi. Adotta una solare madre single inglese e il suo piccolo, accoglie il ritorno dagli Stati Uniti del figlio in crisi davanti all’idea di diventare padre, e poi, messa spalle al muro dall’enormità del progetto che ha intrapreso, sparisce. Dov’è finita? Con chi? Le sarà successo qualcosa?