Ancora più bello leggere un libro quando a consigliartelo è una carissima bibliotecaria.E' nell'isola di Ventotene che l'autrice ha trascorso alcuni mesi della sua vita, quando tentava di uscire dalla depressione e dalla spirale dell'alcolismo, un paradiso naturale pieno di fantasmi essendo stato luogo di confino, un eremo, ma anche una prigione. Sono pagine di pensieri personali, un taccuino intimo un diario di ricordi storici delle vite di quanti hanno pagato con l'esilio. Anna Bertoncello
Una grande scrittrice, un’isola piena di storie: Fabrizia Ramondino a Ventotene. “Quasi che insieme a me allora fosse nata una gemella, fatta di ombra, di cui nessuno si era accorto, ma di cui ho sempre percepito la presenza, pur senza riconoscerla. Sicché, mentre finora mi era parso che il mio angelo custode dovesse darsi sempre un gran da fare, perché non una, ma due persone gli erano state affidate, ora sento che finalmente si riposa, perché solo gli è rimasta quella gemella così a lungo relegata nell’ombra. Mentre l’altra, quanto aveva da compiere ha compiuto”.
Alla fine degli anni Novanta, Fabrizia Ramondino trascorre a Ventotene due stagioni, nel tentativo di uscire dall’alcolismo e dalla depressione: l’isola si farà specchio e riflesso non solo della sua vita ma del cambiamento sociale che è in corso alla fine di quegli anni. Osserva, molto: le case, i bar, ma anche il finocchio marino, la ginestra, l’elicriso, o la palma nana. Incontra donne misteriose vestite di tuniche bianche. Rievoca: le sue parole accolgono le storie di cui l’isola è popolata, dagli anni del carcere borbonico a quelli del confino degli intellettuali antifascisti come Pertini e alla stesura del primo Manifesto federalista europeo di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, e più volte i loro fantasmi si sovrappongono all’osservazione del presente, e dietro le immagini dei bagnanti appaiono Eugenio Colorni che dà lezioni di analisi matematica a Ernesto Rossi, incidendo con un bastone teoremi e formule sulla terra battuta, o Umberto Terracini che cammina discutendo con Camilla Ravera.
Ma nello specchio di Ventotene appare anche l’anima di Fabrizia Ramondino e il libro si fa memoir di una donna eccezionale capace di fermarsi e di interpretare un luogo fisico in dialogo con la propria vita. E il racconto del sé coincide col racconto di quel che è fuori di sé, e in quel fuori sta sbiadendo l’Utopia, che proprio a Ventotene aveva preso forma. Sarà Goffredo Fofi a dirlo: “nel suo libro più doloroso e più luminoso, nel suo libro più bello, Fabrizia Ramondino piange la fine di un mondo, e si mette in gioco per parlare di noi, delle gioie o delle sofferenze di ieri e delle dimenticanze di oggi.”
Fabrizia Ramondino nasce a Napoli il 31 agosto del 1936. Seguendo i genitori, vivrà in diversi paesi europei prima di far ritorno nella città in cui è nata. Qui, dopo essersi laureata in letteratura francese all’Istituto Orientale, insegna a leggere e scrivere ai bambini dei vicoli nei Quartieri Spagnoli. Nel 1968 milita nel Centro di Coordinamento Campano in cui si occupa di disoccupati urbani e contadini poveri. Nel 1974 è a Lisbona per la rivoluzione dei garofani e poi nella Repubblica Popolare Cinese. Nel 1977 esce il suo primo libro Napoli. I disoccupati organizzati. Nel 1981 pubblica il romanzo Althenopis, apprezzato da Natalia Ginzburg e da Elsa Morante. Negli anni ’90 si trasferisce a Itri, vicino a Gaeta, e scrive con Mario Martone la sceneggiatura del film Morte di un matematico napoletano che riceve il Premio Speciale della Giuria a Festival del cinema di Venezia. Successivamente, per circa un mese risiede con Martone presso la tendopoli del popolo saharawi nel deserto algerino. Da questa esperienza nasce il libro Polisario. Un’astronave dimenticata nel deserto. Trascorre un lungo periodo a Ventotene e a Ponza nel Centro di Salute Mentale: racconterà quell’esperienza in L’isola riflessa. Pubblica inoltre Passaggio a Trieste, Guerra di infanzia e di Spagna, Il libro dei sogni, la raccolta di poesie Per un sentiero chiaro e le raccolte di racconti Il calore e Arcangelo. Muore sulla spiaggia di Sant’Agostino il 23 giugno del 2008. Il giorno seguente Einaudi pubblica il suo ultimo romanzo, La via.
Una grande scrittrice, un’isola piena di storie: Fabrizia Ramondino a Ventotene. “Quasi che insieme a me allora fosse nata una gemella, fatta di ombra, di cui nessuno si era accorto, ma di cui ho sempre percepito la presenza, pur senza riconoscerla. Sicché, mentre finora mi era parso che il mio angelo custode dovesse darsi sempre un gran da fare, perché non una, ma due persone gli erano state affidate, ora sento che finalmente si riposa, perché solo gli è rimasta quella gemella così a lungo relegata nell’ombra. Mentre l’altra, quanto aveva da compiere ha compiuto”.
Alla fine degli anni Novanta, Fabrizia Ramondino trascorre a Ventotene due stagioni, nel tentativo di uscire dall’alcolismo e dalla depressione: l’isola si farà specchio e riflesso non solo della sua vita ma del cambiamento sociale che è in corso alla fine di quegli anni. Osserva, molto: le case, i bar, ma anche il finocchio marino, la ginestra, l’elicriso, o la palma nana. Incontra donne misteriose vestite di tuniche bianche. Rievoca: le sue parole accolgono le storie di cui l’isola è popolata, dagli anni del carcere borbonico a quelli del confino degli intellettuali antifascisti come Pertini e alla stesura del primo Manifesto federalista europeo di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, e più volte i loro fantasmi si sovrappongono all’osservazione del presente, e dietro le immagini dei bagnanti appaiono Eugenio Colorni che dà lezioni di analisi matematica a Ernesto Rossi, incidendo con un bastone teoremi e formule sulla terra battuta, o Umberto Terracini che cammina discutendo con Camilla Ravera.
Ma nello specchio di Ventotene appare anche l’anima di Fabrizia Ramondino e il libro si fa memoir di una donna eccezionale capace di fermarsi e di interpretare un luogo fisico in dialogo con la propria vita. E il racconto del sé coincide col racconto di quel che è fuori di sé, e in quel fuori sta sbiadendo l’Utopia, che proprio a Ventotene aveva preso forma. Sarà Goffredo Fofi a dirlo: “nel suo libro più doloroso e più luminoso, nel suo libro più bello, Fabrizia Ramondino piange la fine di un mondo, e si mette in gioco per parlare di noi, delle gioie o delle sofferenze di ieri e delle dimenticanze di oggi.”
Fabrizia Ramondino nasce a Napoli il 31 agosto del 1936. Seguendo i genitori, vivrà in diversi paesi europei prima di far ritorno nella città in cui è nata. Qui, dopo essersi laureata in letteratura francese all’Istituto Orientale, insegna a leggere e scrivere ai bambini dei vicoli nei Quartieri Spagnoli. Nel 1968 milita nel Centro di Coordinamento Campano in cui si occupa di disoccupati urbani e contadini poveri. Nel 1974 è a Lisbona per la rivoluzione dei garofani e poi nella Repubblica Popolare Cinese. Nel 1977 esce il suo primo libro Napoli. I disoccupati organizzati. Nel 1981 pubblica il romanzo Althenopis, apprezzato da Natalia Ginzburg e da Elsa Morante. Negli anni ’90 si trasferisce a Itri, vicino a Gaeta, e scrive con Mario Martone la sceneggiatura del film Morte di un matematico napoletano che riceve il Premio Speciale della Giuria a Festival del cinema di Venezia. Successivamente, per circa un mese risiede con Martone presso la tendopoli del popolo saharawi nel deserto algerino. Da questa esperienza nasce il libro Polisario. Un’astronave dimenticata nel deserto. Trascorre un lungo periodo a Ventotene e a Ponza nel Centro di Salute Mentale: racconterà quell’esperienza in L’isola riflessa. Pubblica inoltre Passaggio a Trieste, Guerra di infanzia e di Spagna, Il libro dei sogni, la raccolta di poesie Per un sentiero chiaro e le raccolte di racconti Il calore e Arcangelo. Muore sulla spiaggia di Sant’Agostino il 23 giugno del 2008. Il giorno seguente Einaudi pubblica il suo ultimo romanzo, La via.