Ottima riproposta di un titolo che nel 1957 scosse profondamente la società francese. Infatti l’autore mise al centro della trama del romanzo un evento pur senza mai descriverlo, la guerra in Algeria. In modo speculare la maggior parte dei Francesi in quegli anni aveva rimosso ciò che stava accadendo sull’altra sponda del Mediterraneo. Così le vicende umane dei tre soldati in licenza risaltano in modo lacerante sullo sfondo di una Parigi tanto bella quanto crudele. Vittorio Campana
Tre soldati francesi arrivano in licenza a Parigi dopo diciotto mesi trascorsi al fronte in Algeria. Si immergono nella grande città per dimenticare una guerra assurda, che Parigi ha trovato più comodo ignorare, costringendoli così a ricordarla continuamente.
Quando, alla fine degli anni Cinquanta, Daniel Anselme, poeta e giornalista allora trentenne, scrisse questo romanzo, fu come se la Francia ricevesse un colpo in piena faccia. È il romanzo di una generazione «perduta», al centro di un grande dramma francese ed europeo. Non descrive il conflitto, non esibisce i morti; racconta le scorribande parigine dei tre soldati, alla ricerca di vecchi amici, di nuovi amori, di una rissa o anche solo della consolazione di una ubriacatura. Eppure i loro tristi vagabondaggi in una città – stupendamente dipinta – che finge di non vederli restituiscono gli orrori di questo ultimo conflitto coloniale meglio di quanto farebbe la più cruenta delle descrizioni: con la forza di un pensiero costante e ossessivo. E per noi, che leggiamo il libro ora, questi tre giovani consapevoli di un destino ineludibile evocano in modo struggente un mondo, un’epoca, le sue atmosfere. Un romanzo riproposto da numerosi editori internazionali, che sa esercitare oggi, forse ancora più che un tempo, la sua singolare magia.
Daniel Anselme, nato nel 1927, fu partigiano della Resistenza francese. In seguito lavorò come giornalista e fu personaggio noto nei caffè della Rive Gauche. Fermo oppositore della guerra in Algeria, affrontò l’argomento nel sul primo romanzo, La licenza (1957). Pubblicò un secondo romanzo nel 1964 e un resoconto semi-autobiografico delle sue esperienze di guerra nel 1984. Morì cinque anni dopo a Parigi.
Tre soldati francesi arrivano in licenza a Parigi dopo diciotto mesi trascorsi al fronte in Algeria. Si immergono nella grande città per dimenticare una guerra assurda, che Parigi ha trovato più comodo ignorare, costringendoli così a ricordarla continuamente.
Quando, alla fine degli anni Cinquanta, Daniel Anselme, poeta e giornalista allora trentenne, scrisse questo romanzo, fu come se la Francia ricevesse un colpo in piena faccia. È il romanzo di una generazione «perduta», al centro di un grande dramma francese ed europeo. Non descrive il conflitto, non esibisce i morti; racconta le scorribande parigine dei tre soldati, alla ricerca di vecchi amici, di nuovi amori, di una rissa o anche solo della consolazione di una ubriacatura. Eppure i loro tristi vagabondaggi in una città – stupendamente dipinta – che finge di non vederli restituiscono gli orrori di questo ultimo conflitto coloniale meglio di quanto farebbe la più cruenta delle descrizioni: con la forza di un pensiero costante e ossessivo. E per noi, che leggiamo il libro ora, questi tre giovani consapevoli di un destino ineludibile evocano in modo struggente un mondo, un’epoca, le sue atmosfere. Un romanzo riproposto da numerosi editori internazionali, che sa esercitare oggi, forse ancora più che un tempo, la sua singolare magia.
Daniel Anselme, nato nel 1927, fu partigiano della Resistenza francese. In seguito lavorò come giornalista e fu personaggio noto nei caffè della Rive Gauche. Fermo oppositore della guerra in Algeria, affrontò l’argomento nel sul primo romanzo, La licenza (1957). Pubblicò un secondo romanzo nel 1964 e un resoconto semi-autobiografico delle sue esperienze di guerra nel 1984. Morì cinque anni dopo a Parigi.
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