Un sessantenne esperto d’arte e battitore d’aste di grande fama, è un cuore gelido, l’unico affetto è quello che prova per gli sguardi scrutanti dei volti femminili della sua segreta e inestimabile raccolta di ritratti. Una giovane donna non esce di casa da anni, nessuno ha più visto il suo volto e vive circondata d’ombre, servita da un anziano portiere. L’incontro tra i due avviene in vista della vendita del patrimonio artistico contenuto nell’antico palazzo ereditato da lei. E tra di loro comincia un gioco torbido e insieme speranzoso che si potrebbe chiamare passione o liberazione.
Introducendo questo suo racconto, da cui viene il film La migliore offerta, il regista Giuseppe Tornatore racconta che nei suoi appunti riposavano da tempo «la figura di una ragazza molto introversa, che viveva reclusa in casa per paura di camminare lungo le strade e mischiarsi in mezzo agli altri» e «un uomo impegnato in un mondo che mi ha sempre attratto, quello dell’arte e dell’antiquariato, un battitore d’aste con la mania dei guanti». Due personaggi isolati che non toccavano la solidità di una storia, fin quando non accadde che, grazie al fluido misterioso della creatività, queste due figure iniziarono a interagire e «una volta innestate l’una nell’altra, la vicenda della ragazza agorafobica e quella del battitore d’aste hanno miracolosamente originato la completezza narrativa che da anni inseguivo e non trovavo».
Da cui l’impulso a scriverne una versione letteraria, prima del film e per rafforzarsene l’immagine: un «soggettone», cioè un vero e proprio racconto. E il regista premio Oscar ci guida al finale sorprendente e feroce col genio del maestro raccontatore di storie, che colora la trama di una tonalità brunastra, quasi visibile, da racconto gotico di taglio classico, inchinandosi con lo sguardo su particolari che caricano di enigma i tempi dell’attesa e la curiosità del dopo.
«Si potrebbe definire, una storia sull’arte intesa come sublimazione dell’amore, ma anche sull’amore inteso come frutto dell’arte». E va aggiunto: una storia sulla falsificazione.
Introducendo questo suo racconto, da cui viene il film La migliore offerta, il regista Giuseppe Tornatore racconta che nei suoi appunti riposavano da tempo «la figura di una ragazza molto introversa, che viveva reclusa in casa per paura di camminare lungo le strade e mischiarsi in mezzo agli altri» e «un uomo impegnato in un mondo che mi ha sempre attratto, quello dell’arte e dell’antiquariato, un battitore d’aste con la mania dei guanti». Due personaggi isolati che non toccavano la solidità di una storia, fin quando non accadde che, grazie al fluido misterioso della creatività, queste due figure iniziarono a interagire e «una volta innestate l’una nell’altra, la vicenda della ragazza agorafobica e quella del battitore d’aste hanno miracolosamente originato la completezza narrativa che da anni inseguivo e non trovavo».
Da cui l’impulso a scriverne una versione letteraria, prima del film e per rafforzarsene l’immagine: un «soggettone», cioè un vero e proprio racconto. E il regista premio Oscar ci guida al finale sorprendente e feroce col genio del maestro raccontatore di storie, che colora la trama di una tonalità brunastra, quasi visibile, da racconto gotico di taglio classico, inchinandosi con lo sguardo su particolari che caricano di enigma i tempi dell’attesa e la curiosità del dopo.
«Si potrebbe definire, una storia sull’arte intesa come sublimazione dell’amore, ma anche sull’amore inteso come frutto dell’arte». E va aggiunto: una storia sulla falsificazione.