La Texel è una nave atipica: non salpa e non rientra in porto, resta in mezzo al mare come faro per le altre imbarcazioni. Sulla Texel il cuoco Lammert ha portato un capretto, cosa insolita che destabilizza e divide l’equipaggio. A rendere ancora più tesa la situazione arrivano tre giorni di nebbia. Questo romanzo ha qualcosa in più della tipica storia di mare. Eleonora Lago
«Qui siamo tutti prigionieri», dicono i marinai della nave faro Texel, oppressi dal suo paradosso: perennemente ancorata al largo delle coste olandesi, non solcherà mai le onde né attraccherà in un porto straniero, ma come una fortezza contro gli uragani resiste sull'orizzonte piatto per indicare la via alle imbarcazioni in transito. A turbare l'equipaggio isolato, diviso tra la nostalgia di vecchie imprese da lupi di mare e il desiderio di fuggire da questa snervante immobilità, basta poco: un capretto. Il piccolo dalle pupille verticali e le corna appena abbozzate è portato a bordo dal cuoco Lammert, che vuole macellarlo per preparare il gule kambing, un piatto della sua infanzia nelle Indie Occidentali. Ma la presenza anomala è capace di scatenare negli uomini reazioni imprevedibili, soprattutto quando Mathijs Deen, con gusto narrativo quasi conradiano, fa calare sulla nave solitaria una fitta nebbia, creando tensione nell'equipaggio per il rischio di una possibile collisione, e nei lettori un effetto di attesa, l'inquietante presagio di un evento catastrofico. In questa atmosfera lunare, lacerata dall'urlo della sirena e dai bagliori del faro, la prosa duttile e precisa di Deen scava nei ricordi tormentati del febbricitante Lammert e nelle allucinazioni del marinaio Snoek, mettendo a nudo, non senza una punta di ironia, la fragilità della psiche umana, pronta a vacillare alla minima scossa: anche di fronte a un innocente capretto destinato a diventare un ottimo stufato.
«Qui siamo tutti prigionieri», dicono i marinai della nave faro Texel, oppressi dal suo paradosso: perennemente ancorata al largo delle coste olandesi, non solcherà mai le onde né attraccherà in un porto straniero, ma come una fortezza contro gli uragani resiste sull'orizzonte piatto per indicare la via alle imbarcazioni in transito. A turbare l'equipaggio isolato, diviso tra la nostalgia di vecchie imprese da lupi di mare e il desiderio di fuggire da questa snervante immobilità, basta poco: un capretto. Il piccolo dalle pupille verticali e le corna appena abbozzate è portato a bordo dal cuoco Lammert, che vuole macellarlo per preparare il gule kambing, un piatto della sua infanzia nelle Indie Occidentali. Ma la presenza anomala è capace di scatenare negli uomini reazioni imprevedibili, soprattutto quando Mathijs Deen, con gusto narrativo quasi conradiano, fa calare sulla nave solitaria una fitta nebbia, creando tensione nell'equipaggio per il rischio di una possibile collisione, e nei lettori un effetto di attesa, l'inquietante presagio di un evento catastrofico. In questa atmosfera lunare, lacerata dall'urlo della sirena e dai bagliori del faro, la prosa duttile e precisa di Deen scava nei ricordi tormentati del febbricitante Lammert e nelle allucinazioni del marinaio Snoek, mettendo a nudo, non senza una punta di ironia, la fragilità della psiche umana, pronta a vacillare alla minima scossa: anche di fronte a un innocente capretto destinato a diventare un ottimo stufato.
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