Germania, 1936. Nel campo di concentramento di Westhofen, sul lato corto della baracca III, si ergono sette tronchi di platani con delle assi inchiodate ad altezza delle spalle di un uomo. Fahrenberg, il comandante del campo, un pazzo colto da improvvisi accessi d’ira e di crudeltà, ha ordinato quello strano allestimento con un fine preciso: quei tronchi sono le sette croci su cui ha giurato di appendere i sette uomini che hanno osato evadere da Westhofen: Wallau, Füllgrabe, Beutler, Belloni, Aldinger, Pelzer, Heisler, uomini piegati da dozzine di interrogatori, sofferenze e torture. Uomini che hanno scelto la fuga perché persuasi che soltanto la morte possa salvarli o, all’opposto, perché mossi da un insopprimibile istinto di sopravvivenza.
Vengono riacciuffati uno dopo l’altro – chi per sorte avversa, chi perché troppo vecchio, chi perché troppo debole, chi perché reso fuori di senno dalla fuga – eccetto Georg Heisler. Un’irrefrenabile voglia di vivere, più forte di ogni paura, più forte della fame e della sete e del maledetto pulsare di una mano sanguinante, guida il giovane Heisler e lo tiene miracolosamente lontano dalla settima croce del campo. La voglia di rivedere i begli occhi scuri di Leni, la ragazza che la sorte ha messo sulla sua strada ventuno giorni prima del suo arresto, o il volto rotondo e lentigginoso di Paul Röder, il compagno di scuola con cui ha giocato a biglie per strada per dieci lunghi anni, o lo sguardo risoluto di Franz, l’amico con cui ha trascorso la giovinezza sotto gli astri della stessa speranza e degli stessi ideali.
Il timore e la volontà di compiacere le autorità del neonato Terzo Reich hanno, però, generato in tutto il paese una fitta rete di sospetti e delazioni. Dietro ogni passante può nascondersi una spia dei nazisti, e ogni sosta può trasformarsi in una trappola mortale; persino amici e familiari possono tradire. Allo stremo delle forze nel suo peregrinare lungo le sponde del Meno, il giovane Heisler si dispera perciò, a un certo punto, di poter guadagnare il confine. Tuttavia, proprio quando ogni sogno di libertà sembra spento in lui, insieme alla percezione stessa del pericolo, ecco l’evento inaspettato: alcuni tedeschi decidono di mettere a repentaglio la propria vita, nel «giardino delle bestie» del Terzo Reich, in nome dell’umanità e dell’amicizia.
Bestseller internazionale subito dopo la prima pubblicazione nel 1942 (sei mesi dopo la sua apparizione, negli Stati Uniti furono vendute quattrocentoventunmila copie), tradotto in più di trenta lingue, oggetto nel 1944 di una celebre trasposizione cinematografica diretta da Fred Zinnemann, con Spencer Tracy e Jessica Tandy nei ruoli principali, La settima croce viene qui pubblicato in una nuova traduzione che rende giustizia a «un romanzo scritto in maniera impeccabile, che tiene in vita… uno dei capitoli più importanti della storia tedesca » (Thomas von Steinaecker).
Nata nel 1900 a Magonza, Anna Seghers (pseudonimo di Netty Reiling), studiò storia dell'arte a Colonia e Heidelberg, laureandosi con una tesi sull'ebraismo nell'opera di Rembrandt. Moglie dello scrittore ungherese László Radványi, si affermò come scrittrice nel 1928 con il racconto lungo Der Aufstand der Fischer von St. Barbara, grazie al quale vinse il premio Kleist. Iscrittasi al Partito Comunista, dopo la presa al potere di Adolf Hitler nel 1933 le sue opere furono messe al bando e lei si rifugiò in Francia. Durante la guerra civile spagnola svolse attività di propaganda a Madrid e nel 1941 emigrò in Messico, dove scrisse La settima croce. Tornata a Berlino nel 1947, divenne uno degli intellettuali di spicco della Repubblica Democratica Tedesca, e fu insignita nel 1951 del Premio Lenin per la pace. Morì a Berlino Est nel 1983.