Ce l’ho ancora nel cuore Giacomo, un ragazzino con cui la vita è stata dura, durissima. La sua vicenda e quella delle sue meravigliose montagne è raccontata da Matteo Righetto in maniera magistrale. Non riuscirete a staccarvi dalla storia di questa famiglia fino all’ultima riga e anche, come per me, molto oltre.
Veronica Manfrotto
È l’estate del 1954, Giacomo Nef ha 11 anni e con i due fratelli maggiori vive dai nonni paterni a Daghè, una minuscola frazione rurale di Livinallongo inerpicata sulle pendici del Col di Lana, nelle Dolomiti bellunesi. “Tre case, tre fienili, tre famiglie.” I bambini sono orfani e i due vecchi che li accudiscono
sono tutt’altro che amorevoli, soprattutto con lui, il più piccolo, che il nonno è convinto sia nato da una relazione della nuora in tempo di guerra. Così lo punisce a ogni occasione, chiudendolo a chiave nella stanza delle mele selvatiche, dove Giacomo passa il tempo intagliando il legno e sognando l’avventura, le imprese degli scalatori celebri o degli eroi dei fumetti, e l’avventura gli corre incontro una tarda sera d’agosto.
Con l’approssimarsi di un terribile temporale, Giacomo viene mandato dal nonno nel Bosch Negher a recuperare una roncola dimenticata lì al mattino. Mentre i tuoni sembrano voler squarciare il cielo, alla luce di un lampo il ragazzino scopre vicino all’attrezzo il corpo di un uomo appeso a un albero. L’impiccato è di spalle e lui, terrorizzato, fugge via scordandosi la roncola. Con le sue abili mani Giacomo cercherà di sciogliere un mistero che sembra legato a doppio filo con la vita del paese, con i suoi riti ancestrali e con un cattolicesimo oscuro, intriso di elementi paranormali e credenze popolari.
Matteo Righetto conosce profondamente il mondo arcaico della montagna – durissimo e vivo di profumi, sapori, dialetto e leggende – e ce lo restituisce nel suo romanzo più complesso e maturo, serrato e incalzante nel ritmo, fra emozioni ancestrali e amore per la natura.
Matteo Righetto è docente di Lettere, vive tra Padova e Colle Santa Lucia (Dolomiti). Ha esordito con Savana Padana (Tea, 2012), seguito dai romanzi La pelle dell’orso (Guanda, 2013), da cui è stato tratto un film con Marco Paolini, Apri gli occhi (Tea, 2016; vincitore del Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo) e Dove porta la neve (Tea, 2017). Per Mondadori ha scritto la “Trilogia della Patria” – che comprende i romanzi L’anima della frontiera (2017), L’ultima patria (2018), La terra promessa (2019) – e, insieme a Mauro Corona, il “sillabario alpino” Il passo del vento (2019). La sua trilogia è diventata un caso letterario internazionale con traduzioni in molti Paesi, tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia, Germania, Olanda. Per il teatro ha scritto Da qui alla Luna, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto e portato in scena da Andrea Pennacchi, e per il web L’anno dei sette inverni. Nel 2019 ha ricevuto il Premio speciale Dolomiti Unesco. Per Feltrinelli ha scritto I prati dopo di noi (2020).
Veronica Manfrotto
È l’estate del 1954, Giacomo Nef ha 11 anni e con i due fratelli maggiori vive dai nonni paterni a Daghè, una minuscola frazione rurale di Livinallongo inerpicata sulle pendici del Col di Lana, nelle Dolomiti bellunesi. “Tre case, tre fienili, tre famiglie.” I bambini sono orfani e i due vecchi che li accudiscono
sono tutt’altro che amorevoli, soprattutto con lui, il più piccolo, che il nonno è convinto sia nato da una relazione della nuora in tempo di guerra. Così lo punisce a ogni occasione, chiudendolo a chiave nella stanza delle mele selvatiche, dove Giacomo passa il tempo intagliando il legno e sognando l’avventura, le imprese degli scalatori celebri o degli eroi dei fumetti, e l’avventura gli corre incontro una tarda sera d’agosto.
Con l’approssimarsi di un terribile temporale, Giacomo viene mandato dal nonno nel Bosch Negher a recuperare una roncola dimenticata lì al mattino. Mentre i tuoni sembrano voler squarciare il cielo, alla luce di un lampo il ragazzino scopre vicino all’attrezzo il corpo di un uomo appeso a un albero. L’impiccato è di spalle e lui, terrorizzato, fugge via scordandosi la roncola. Con le sue abili mani Giacomo cercherà di sciogliere un mistero che sembra legato a doppio filo con la vita del paese, con i suoi riti ancestrali e con un cattolicesimo oscuro, intriso di elementi paranormali e credenze popolari.
Matteo Righetto conosce profondamente il mondo arcaico della montagna – durissimo e vivo di profumi, sapori, dialetto e leggende – e ce lo restituisce nel suo romanzo più complesso e maturo, serrato e incalzante nel ritmo, fra emozioni ancestrali e amore per la natura.
Matteo Righetto è docente di Lettere, vive tra Padova e Colle Santa Lucia (Dolomiti). Ha esordito con Savana Padana (Tea, 2012), seguito dai romanzi La pelle dell’orso (Guanda, 2013), da cui è stato tratto un film con Marco Paolini, Apri gli occhi (Tea, 2016; vincitore del Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo) e Dove porta la neve (Tea, 2017). Per Mondadori ha scritto la “Trilogia della Patria” – che comprende i romanzi L’anima della frontiera (2017), L’ultima patria (2018), La terra promessa (2019) – e, insieme a Mauro Corona, il “sillabario alpino” Il passo del vento (2019). La sua trilogia è diventata un caso letterario internazionale con traduzioni in molti Paesi, tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia, Germania, Olanda. Per il teatro ha scritto Da qui alla Luna, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto e portato in scena da Andrea Pennacchi, e per il web L’anno dei sette inverni. Nel 2019 ha ricevuto il Premio speciale Dolomiti Unesco. Per Feltrinelli ha scritto I prati dopo di noi (2020).