Non ha nome la piccola orsa, e nemmeno la sua mamma. D’altra parte, nel poetico libro d’esordio di Jo Weaver non c’è neanche un essere umano -neppure una Masha- che avrebbe potuto darglielo. Nessun diminutivo, nessun vezzeggiativo dunque, ma soprattutto niente retorica. Solo una grande orsa e la sua piccola che si muovono in perfetta armonia col mutevole scenario della natura. Alta e imponente l’una, gli occhi ancora assonnati l’altra.
Incerti e malfermi i passi della piccola, sicura la direzione. A indicarla –per boschi a cogliere bacche, per prati a cercare radici– c’è mamma orsa. Ed è sempre lei, quando la primavera cede il passo all’estate, a guidarla sul fiume, per insegnarle a nuotare e ad acchiappare i pesci. E al migrare degli uccelli –è arrivato l’autunno– grandi scorpacciate di mele e di pere per prepararsi al letargo. Bisogna però trovare un riparo prima che la neve dell’inverno copra ogni cosa. Poi, nel tepore della tana, l’una tra le braccia dell’altra in attesa di una nuova primavera.