L'autore ha dato un senso all'ultima parte del suo viaggio nella Vita, lasciandoci pagine meravigliose. Ritengo ogni parola per descrivere questo libro non necessaria. Da leggere. Anna Bertoncello
Qual è il significato della vita umana? O meglio, che cosa la rende significativa e degna di essere vissuta? A farsi queste domande non è un filosofo o un teologo, ma il neurochirurgo americano di origine indiana Paul Kalanithi, che a soli 37 anni, al culmine del successo professionale, deve affrontare la disperata battaglia contro un cancro in fase terminale e guardare negli occhi l'avversario che ha già sfidato tante volte in sala operatoria: la morte. Animato fin dall'infanzia da passioni apparentemente inconciliabili (letteratura, psichiatria, filosofia, ricerca scientifica), che lo avevano portato a scegliere la neurochirurgia come facoltà chiave per conoscere l'«intreccio di cervello e coscienza» e strada maestra per «inseguire la morte, afferrarla, smascherarla», Paul vive l'esperienza soggettiva della malattia come l'occasione per cominciare a vedere le cose con quello sguardo da paziente che aveva a lungo cercato e per riflettere sul destino che ci accomuna a ogni organismo vivente che nasce, cresce e muore. E mentre racconta il rapido decorso del tumore, accompagnato da un continuo alternarsi di consapevolezza, accettazione, paura e determinazione, ci invita a entrare nel suo universo di affetti, desideri, sogni, delusioni e speranze: la valle desertica dell'Arizona dov'è immersa Kingman, la cittadina natale, la brillante carriera accademica, l'incontro con Lucy al primo anno di medicina, il compianto collega Jeff, l'oncologa Emma che lo prende in cura, l'ambizione mai saziata di trovarsi davvero in empatia con chi soffre, e infine lo shock, dopo la diagnosi fatale. Nel ripercorrere le ultime tracce di un'esistenza vissuta con quel coraggio che gli ha permesso di affrontare la malattia con «grazia e autenticità», come dice la moglie Lucy nel dolente e radioso epilogo, Kalanithi non cede mai all'autocommiserazione, ma ci parla del nostro essere mortali facendoci appassionare alla vita. Perché per lui, medico-letterato, la scrittura era un dono di sé, un lascito necessario, come lo è stata la figlia Cady, voluta per costruire un futuro là dove c'era solo presente, e la cui vitalità ha illuminato e riempito di gioia i suoi ultimi mesi. Paul Kalanithi, neurochirurgo e scrittore, si è diplomato alla Stanford University e ha conseguito un master in storia e filosofia della scienza e della medicina alla University of Cambridge. Laureatosi cum laude alla facoltà di medicina di Yale, nel 2007 è ritornato a Stanford per completare il tirocinio di specializzazione in neurochirurgia e come titolare di una borsa di studio post-dottorato in neuroscienze, e in quel periodo ha ricevuto il più alto riconoscimento per la ricerca da parte dell'American Academy of Neurological Surgery. È morto per un cancro al polmone nel marzo 2015, all'età di 37 anni.
Paul Kalanithi, neurochirurgo e scrittore, si è diplomato alla Stanford University e ha conseguito un master in storia e filosofia della scienza e della medicina alla University of Cambridge. Laureatosi cum laude alla facoltà di medicina di Yale, nel 2007 è ritornato a Stanford per completare il tirocinio di specializzazione in neurochirurgia e come titolare di una borsa di studio post-dottorato in neuroscienze, e in quel periodo ha ricevuto il più alto riconoscimento per la ricerca da parte dell'American Academy of Neurological Surgery. È morto per un cancro al polmone nel marzo 2015, all'età di 37 anni.